12a Tappa: Le Monêtier-les-Bains > Isola 2000 184,5 km
Il gruppo approccia la salita più attesa di giornata trainato - finalmente - dagli uomini della maglia gialla, spesso sollevati dal peso del controllo della corsa dall'intraprendenza di altre compagini. Non appena la strada inizia a salire, agli spettatori si ripresenta una scena che sta ormai diventando un appuntamento quotidiano al Tour: il tradizionale attacco di Roche, Dupont e Péraud.
All'inseguimento restano i colori della Sky, ma agli uomini di Froome, ancora una volta, spetta un lavoro part-time. Bastano 4 km di salita perché al comando giungano le maglie della Radioshack. Quasi in contemporanea, una prima débacle riduce il gruppo di testa: stremato da giorni di fughe, cede il passo anche Thomas Voeckler.
Il ritmo degli uomini di Frank Schleck è sostenutissimo, e bastano poche pedalate per neutralizzare il tentativo del terzetto Ag2r, con Roche che sembra quasi faticare a seguire il ritmo dei compagni di squadra. Altre teste eccellenti cadono nel mentre dal gruppo dei battistrada. Tocca questa volta a Damiano Cunego.
La crisi del veronese non è giustificata da azioni decise nel gruppo al comando, benché Chris Sorensen prenda con una certa decisione le redini del drappello dopo qualche chilometro. La progressione del danese, più che produrre selezione, serve soprattutto a rimandare quello che sembra ormai un inevitabile ricongiungimento con il gruppo di Samuel Sanchez, che progressivamente avvicinandosi. In un momento avaro di scatti, con la Radioshack sempre a comandare le operazioni nel plotone, le telecamere corrono alle spalle dei big, dove Nicolas Roche, poco dopo aver tentato un ennesimo attacco, paga i giorni spesi all'attacco. Con lui Hubert Dupont, mentre la testa del gruppo viene occupata da Andreas Kloden. Con Horner appostato in secondo posizione e Frank Schleck in terza, appare evidente che il lussemburghese, fra i principali animatori di questa prima metà di Tour, non ha alcuna intenzione di aspettare la salita finale per muovere l'ennesima offensiva. E' il veterano statunitense a dare l'ultimo strappo, che spiana la strada all'atteso affondo del capitano.
Nella scia di Schleck si porta subito Cadel Evans, che sembrava non aspettare altro che un assist per saggiare la resistenza del Team Sky. Alla ruota dell'australiano si incolla Nibali, a sua volta marcato stretto da Chris Froome, con Bradley Wiggins a fargli da ombra. Gli altri big ritornano sotto, ma hanno a malapena il tempo di contarsi prima che Schleck piazzi un secondo allungo. Dietro di lui si forma lo stesso treno, con Evans primo inseguitore, Nibali sulla ruota del leader BMC e il duo Sky pronto a chiudere. Evans fa segno agli altri di portarsi avanti, confabulando per un istante con Wiggins. E' in quel momento che Schleck porta il terzo scatto nello spazio di un chilometro.
Soltanto Rolland, questa volta, si fionda alla ruota del lussemburghese, mentre Evans fa segno agli altri di non avere intenzione di chiudere sempre per tutti. Nessun altro sembra però avere intenzione di ricucire, consentendo ai due attaccanti di acquisire un certo margine. A tamponare l'emorragia, per fortuna di tutti, arriva però il Team Sky, forte di Michael Rogers e Richie Porte, con quest'ultimo che guadagna la testa del plotone.
Giustamente presa dalla battaglia in testa al gruppo, la regia è costretta a riproporre in registrata l'ennesimo crollo di una tappa che sta prendendo molti per sfinimento. E' questa volta la lampadina di Daniel Navarro a spegnersi inopinatamente.
In testa al gruppo, insieme a Porte, compaiono ora anche delle maglie della Astana e quella Liquigas di Valerio Agnoli, che non regge però a lungo il ritmo imposto dagli uomini in nero. Curiosamente, mentre dietro le maglie azzurre della squadra kazaka si mettono a trainare il plotone, è un loro compagno ad attaccare dalla testa della corsa: si tratta di Roman Kreuziger.
Il ceco viene marcato stretto da Scarponi, Vanendert, Fuglsang e Rujano, ma tutti gli altri componenti del drappello al comando, pur provando ad opporre resistenza, sono costretti a piegarsi alla progressione. Il quintetto non dura però molto nello stato di "tête de la course", poiché da dietro arriva inesorabile la rimonta del gruppetto di Sanchez, e più indietro ancora anche Schleck e Rolland iniziano a raccogliere strada facendo degli ex battistrada.
Anche gli inseguitori non possono non risentire dei chilometri, delle fatiche dei giorni precedenti, delle salite già nelle gambe e della quota che, con l'avvicinarsi del Souvenir Henri Desgrange, inizia a rappresentare un fattore significativo. Quando alla vetta mancano 8 km, gli attesi fiocchi di neve iniziano a cadere sulla corsa, contribuendo a falcidiare i gruppi sparsi lungo la salita. Dal drappello di Sanchez perdono via via contatto lo stremato Anton, Steven Kruijswijk, che lascia solo un Robert Gesink che aveva già perso da alcuni chilometri Bauke Mollema, e Thomas De Gendt, che non riesce a ripetere sulla salita più alta del Tour l'impresa compiuta sulla più alta del Giro.
Il drappello comprendente il campione uscente, divenuto di fatto un quartetto, riesce ad agganciare il quintetto formatosi al comando, ma alle loro spalle già sbucano dalla neve le sagome di Schleck e Rolland, che stanno affrontando più forte di tutti l'ascesa più temuta di giornata. Il duo franco-lussemburghese ritorna a velocità doppia sui battistrada, con Schleck che senza indugiare si porta al comando del plotoncino ed inizia a mietere vittime. Alla ruota del capitano della Radioshack restano solamente Rolland, Gesink, Rodriguez, Sanchez e Rujano, mentre Van Garderen, Scarponi, Vanendert, Kreuziger e Fuglsang perdono il treno nello spazio di poche centinaia di metri, a riprova di come già stessero pedalando al limite delle loro possibilità.
Non troppo distante, nel frattempo, Michael Rogers soppianta Porte in testa al gruppo a 3 km dallo scollinamento, imprimendo una sensibile accelerazione rispetto al già notevole ritmo impresso dal compagno e connazionale. La sgasata dell'australiano produce sostanzialmente lo stesso effetto che quella di Schleck aveva generato in testa, ossia quello di far perdere contatto a chi già soffriva nella scia di Porte. Un'ulteriore incremento di andatura dell'australiano finisce per ridurre ai minimi termini un plotone già ristretto: oltre ai compagni Wiggins e Froome, nel gruppo maglia gialla restano Evans, Nibali, Van den Broeck, Valverde e Pinot. Perdono invece contatto prima Vinokourov, Leipheimer e Horner, quindi Péraud, poi ancora Brajkovic, Basso, Menchov, Hesjedal e Cobo. Ormai in vista della cima, Anton, Kruijswijk e De Gendt vengono riassorbiti dal gruppo principale, mentre in testa si registra un durissimo sprint fra Rodriguez e Rujano per conquistare il Gran Premio della Montagna. La volata sorride alla fine a Purito, che precede l'alfiere Androni, Schleck, Rolland, Gesink e Sanchez, questi ultimi rimasti attardati di 3'' al momento della volata. Scarponi, Vanendert, Van Garderen e Kreuziger passano in quest'ordine con 35'' di ritardo, mentre a 51'' transita il drappello di Froome. Il distacco del gruppo Brajkovic è lievitato in pochi chilometri a 1'49'', quello di Vinokourov è a 2'33'', quello di Taaramae addirittura a 3'20''.
Nella lunghissima discesa, la neve che continua a cadere sul percorso costringe tutti ad una certa prudenza, facendo sì che nessuno tenti impavide azioni durante la picchiata. I distacchi restano così piuttosto stabili, malgrado Sanchez e Rolland finiscano quasi senza volerlo per avvantaggiarsi di una quindicina di secondi sui compagni di fuga, con Rujano che ne cede invece una ventina. Il plotone, pilotato dal solito Rogers, attivo nella parte finale della Bonette, riassorbe rapidamente il drappello rimasto a metà strada fra i leader e la maglia gialla, fiondandosi all'inseguimento della testa. La mancanza di compagni di squadra costringe i primi ad alternarsi con un minimo di parsimonia, venendo però così fagocitati dalla progressione del pluri-campione mondiale della cronometro, che, potendo dar fondo a tutte le proprie energie prima della salita finale, e ricevendo un paio di cambi anche da Wiggins, a 22 km dal traguardo completa un ricongiungimento nell'aria da tempo.
Ai piedi dell'ascesa finale, si presenta così compatto al comando, con un margine superiore ai due minuti su tutti gli altri, un gruppo di 22 atleti, formato da Froome, Wiggins e Rogers (Sky), Nibali (Liquigas), Evans e Van Garderen (BMC), Van den Broeck e Vanendert (Lotto), Valverde (Movistar), Pinot (FDJ), Sanchez e Anton (Euskaltel), Gesink e Kruijswijk (Rabobank), De Gendt (Vacansoleil), Scarponi (Lampre), Kreuziger (Astana), Schleck e Fuglsang (Radioshack), Rodriguez (Katusha), Rujano (Androni) e Rolland (Europcar).
Non appena si riprende a salire in direzione dell'arrivo di Isola 2000, uno strepitoso Michael Rogers lascia spazio in testa al gruppo a Bradley Wiggins. Il basettone del gruppo non ha però neppure il tempo di inscenare una vera progressione, che subito Joaquim Rodriguez piazza un allungo.
Lo scatto di Purito è violento, e gli consente di guadagnare subito qualche decina di metri. La progressione di Wiggins serve agli inseguitori per riportarsi sotto, ma l'allungo dello spagnolo miete vittime: con lui e Wiggo restano soltanto Froome, Evans, Nibali, Van den Broeck, Schleck, Gesink, Rolland, Pinot, Van Garderen, Sanchez e Valverde, mentre tutti gli altri ritengono sia meglio evitare di rispondere ad un simile cambio di ritmo.
Forse scorgendo segni di fatica sui volti degli avversari, è quindi Jurgen Van den Broeck a voler provare un'ulteriore scrematura.
Van Garderen e Sanchez alzano subito bandiera bianca, e anche Robert Gesink, su un secondo ancorché più timido affondo del belga, non ha la forza di replicare.
Più degli scatti, però, a far male è il ritmo spaccagambe che Wiggins mette in scena non soltanto per chiudere sulle accelerazioni altrui, ma anche per dare a queste un seguito. Senza cambi di ritmo bruschi, ma scandendo un passo che sembra mettere un mattone al chilometro sulla schiena degli avversari, Wiggo si leva di ruota prima Pinot, poi Valverde, poi Rolland. A dare il colpo di grazia prova Cadel Evans, quando l'ascesa è iniziata da 4 km.
L'affondo non è ad onor del vero particolarmente incisivo, ma finisce per costare caro ad un Van den Broeck che ha forse peccato di eccessivo ottimismo poco prima. Wiggins, neutralizzato l'attacco, si riporta al comando, finendo con il suo tremendo ritmo per far più male di uno scatto: sotto il cartello dei 10 km al traguardo, anche Frank Schleck è costretto alla resa, e 500 metri più avanti deve mollare anche Purito Rodriguez.
I primi quattro - i soliti quattro - si fossilizzano nelle rispettive posizioni per chilometri, con Wiggins a sfidare la pioggia e il freddo in prima posizione, Froome nella sua scia, Evans in terza piazza e Nibali a chiudere il trenino. Gli inseguitori, fiaccati dal passo di Wiggo e con il problema di essersi staccati uno per uno, e quindi di dover procedere in solitudine almeno per qualche chilometro, vedono dilatarsi in tempi rapidi i distacchi, che dall'ordine dei secondi passano rapidamente a quello dei minuti.
La situazione non muta - se non a livello di distanza fra i contendenti - fino a 4 km circa dall'arrivo, quando, dopo un rapido stacco sul più diretto inseguitore, sempre rappresentato da Rodriguez, la regia, tornando sulla testa, mostra una situazione mutata: Nibali ha scavalcato Evans, che inizia a perdere contatto. L'australiano non sembra in crisi, cede ma non crolla, ma è chiaro che, se l'idea era quella di provare a recuperare terreno, è chiaro che accadrà molto probabilmente l'opposto.
Poche centinaia di metri più avanti, Wiggins rallenta, si porta al fianco di Chris Froome, e scambia qualche parola con la maglia gialla. Terminato il conciliabolo, Bradley si riporta in testa, forse dopo aver pattuito con il compagno il ritmo da scandire. O forse no, perché passano pochi secondi prima che Froome scarti secco sul lato destro della strada e decida che è il momento di muoversi in prima persona.
Nibali, che si trovava a ruota del capoclassifica, non può certo essere sorpreso, ma bastano due pedalate per capire che il siciliano non ha la forza di reagire ad un ulteriore cambio di ritmo. Anzi, la sensazione è che Vincenzo abbia speso qualcosa di troppo nel tentativo di seguire ad oltranza il duo del Team Sky, il cui membro votato al sacrificio - quest'oggi Wiggins - inizia a perdere a vista d'occhio. Nibali si siede, rinuncia a rispondere a Froome e tenta di scongiurare quello che sembra un principio di crisi. Poco più indietro, uno stremato Wiggins scivola fino a farsi riprendere da Evans, che mette ora nel mirino anche l'alfiere Liquigas.
Froome, ormai solo, divora gli ultimi 3 km di salita come non si immagina sia possibile dopo oltre 180 km su un percorso tremendo e in condizioni da tregenda, con fiocchi di neve che si mescolano alla pioggia sulle ultime rampe verso l'arrivo. Alle sue spalle, Evans ritorna su Nibali, facendo valere una migliore gestione delle energie, e stacca l'italiano, piantatosi negli ultimi 1500 metri, atroci a dispetto delle pendenze intorno al 7%.
Fra due ali di folla incuranti del maltempo e del gelo, la maglia gialla legittima la propria posizione con un assolo di rara potenza, che rischia di lasciare un segno indelebile sul Tour, prima per la prova di forza e di superiorità che per i distacchi inflitti. Isola 2000 applaude la vittoria di Chris Froome.
Alle sue spalle, Evans taglia in seconda posizione, a 1'20'', grazie ad una gestione a manuale delle non eccessive riserve rimaste. Nibali accusa qualcosa come 1'51'' in poco più di 3000 metri, fermandosi subito dopo il traguardo svuotato di ogni barlume di energia. 2'15'' il ritardo di Wiggins, impagabile nel ruolo di gregario di lusso. A completare una top 5 raramente così lunga è Joaquim Rodriguez, che taglia sfinito a 3'38''. Distacchi superiori ai 4' per tutti gli interpreti di una frazione destinata a restare a lungo nella memoria del Tour.