*DISCLAIMER*: Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Pochi anni sono riusciti a stravolgere il corso della storia e delle nostre vite come il 1989. Si chiude il decennio dell’edonismo reaganiano, finisce l’era della Milano da bere. A Palazzo Chigi si alternano Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti. Alla Casa Bianca, in gennaio, si insedia George Herbert Walker Bush, o - come lo definiscono gli storici - “il Bush che non cadeva dal seggiolone da piccolo”.
Il 29 marzo va in scena la cerimonia degli Oscar più brutta di sempre. Rob Lowe e un’attrice travestita da Biancaneve cantano "Proud Mary" dei Creedence Clearwater Revival, etichettata come "la cover più brutta della storia" anche da persone che hanno sentito la versione di Marco Masini di "Nothing Else Matters" dei Metallica.
Milano è la capitale mondiale del calcio. L’Inter di Trapattoni ha vinto in primavera lo scudetto dei record, trascinata dai tedeschi che di lì a qualche mese si laureeranno campioni del mondo. Il Milan di Sacchi tocca a Barcellona, il 24 maggio, il punto più alto della sua parabola, distruggendo lo Steaua Bucarest nella finale del Camp Nou. E starebbe anche per riconquistare il campionato, se non fosse per il disgustoso furto del Nap… *censurato dalla produzione, che tiene famiglia*.
Soprattutto, il 1989 è l’anno in cui viene abbattuta la barriera che per decenni ha separato il mondo tra Est e Ovest: il 9 novembre, cade il Muro di Berlino. La Guerra Fredda diventa un ricordo.
Ecco perché non ne frega un cazzo a nessuno quando, un mese più tardi, la signora Conchi Meana dà alla luce Mikel, il primogenito del signor Pablo Landa. È lui il protagonista della nostra storia: un bambino che non ne vuole sapere di diventare uomo. Per i suoi estimatori, un Peter Pan iberico. Per i suoi detrattori, un Alvaro Vitali basco.
Mikel Landa nasce e cresce nella regione dei Paesi Baschi, in Spagna: una regione così burrascosa che potrei saltare per aria la prossima volta che accendo il motore della macchina solo per avere aggiunto “in Spagna”. Il suo paese natale è Mungia, famoso per essere la destinazione di tutti coloro che devono andare a Bilbao ma sbagliano l’uscita dell’autostrada. Il piccolo Mikel si mette subito in evidenza a scuola: ogni anno, al termine del primo quadrimestre, è il primo della classe. Eppure, appena si avvicinano gli esami finali, il suo rendimento cala. La sua psiche cede più facilmente della macchina di Bettega sotto la sede bianconera in quel maggio del 2006.
“Suo figlio potrebbe fare di più, ma non si applica”, si sentono dire i signori Landa dagli insegnanti. Eppure Mikel alla scuola ci tiene, ci tiene così tanto che ripete la prima per quattro volte.
La materia in cui il suo rendimento si distingue nettamente rispetto a quello di tutti gli altri è l’educazione fisica: corre i 100 metri in 30 secondi netti. La famiglia si rende conto della gravità della situazione e mette Mikel davanti a un bivio: lavorare seriamente sul suo fisico attraverso la pratica sportiva, seguito da un allenatore personale, oppure mollare tutto e accettare di svolgere per tutta la vita la professione più umiliante e degradante della storia dell’umanità: il programmatore di Pro Cycling Manager.
Mikel non ha dubbi: si dà allo sport. Ad avviarlo al ciclismo è il suo primo grande mentore.
Il salto tra i professionisti è immediato. Un’autorevole rivista specializzata spagnola scriverà di quel periodo: “Fu l’ascesa più repentina di cui si abbia notizia, almeno dall’ultima volta che Mediaset ha messo una ex velina a condurre su Canale 5 dopo un paio di cene eleganti ad Arcore”.
Il debutto avviene nel 2009, alla Urkiola Igoera, gara che fa parte del più prestigioso circuito basco: quello delle corse che prendono il nome dalle bestemmie che i locali pronunciano quando sbattono il mignolo contro lo spigolo. Il successo va a Igor Anton, davanti a Xavier Tondo, l’uomo che pochi anni più tardi dimostrerà che la sfida tra l’intelligenza dell’uomo e quello delle porte di garage non è scontata come potrebbe sembrare.
La gara d’esordio di Mikel contiene già, in forma embrionale, alcuni degli elementi che caratterizzeranno tutta la sua carriera. Finisce 47esimo, e scorrendo la top ten salta all’occhio il nome di colui che diventerà la sua nemesi: Nairo Quintana.
Nel 2010 Mikel Landa debutta sul palcoscenico più prestigioso del ciclismo giovanile mondiale: il Tour de l’Avenir. Il primo arrivo in salita è sul Col du Beal: vince Yannick Eijssen, che l’anno successivo passerà professionista con la Bmc e che nel 2018 verrà eletto da Sports Illustrated “Atleta più scarso ad avere militato in una squadra di prestigio internazionale”, davanti a Massimo Bulleri dell’Olimpia Milano e Paolo De Ceglie della Juventus, successivamente escluso dalla classifica perché si era detto “prestigio internazionale”.
Sul Béal, Mikel è grande protagonista. Stacca Quintana, e a mettergli la ruota davanti sono soltanto fuoriclasse del calibro di Darwin Atapuma, Jarlinson Pantano, Andrew Talansky e Tom Jelte Slagter, la cui vittoria alla Liegi-Bastogne-Liegi 2016 sarebbe uno dei punti più bassi della storia di eseifrancesi, se non fosse per le vittorie al Tour regalate a Gomez Marchante e Thomas Dekker da La Sègue e Messapique, per Cunego maglia gialla nella prima edizione e vincitore del tappone del Beillurti, per l’attacco di Schleck sul Galibier… in pratica: Tom Jelte Slagter, la cui vittoria alla Liegi-Bastogne-Liegi 2016 è uno dei punti più alti della storia di eseifrancesi.
La tappa della verità arriva tre giorni più tardi: 204 km da Saillans a Risoul. Mikel lotta, corre bene, è lì davanti. Ma il finale è ancora una volta doloroso. Davanti c’è sempre lui, il ragazzo di Combita, o - come lo chiamerà sportivamente Mikel ai microfoni della tv francese - “quel colombiano di merda”.
Nairo Quintana vince la generale di fronte a Talansky e Pantano, in un’edizione che ancora oggi viene ricordata negli annali. Un organizzatore che ha preferito rimanere anonimo commentò: “Ma veramente dobbiamo far finta di prendere sul serio una corsa con partecipanti di questo livello? La prossima cosa sarà? Far finta che ci interessi il calcio femminile?”.
Mikel fatica a dimenticare quella sconfitta, che lascia in lui un senso di ingiustizia. Anche perché non riesce a levarsi dalla testa una frase sentita in quei giorni: “Vent’anni quel colombiano lì? Mah, io controllerei per bene il passaporto”, ebbe a dire un esperto della materia.
Le prestazioni del 2010 valgono comunque a Landa un contratto con la Euskatel-Euskadi, ovvero la formazione World Tour che raccoglie i corridori che non troverebbero spazio neanche alla Bardiani ma che hanno la fortuna di essere baschi.
La squadra, in ogni caso, ha un buon organico. L’uomo più atteso è Igor Anton. Pochi mesi prima, stava dominando la Vuelta prima di essere costretto al ritiro da una caduta: un fatto che è categoricamente vietato ricordare in almeno una redazione sportiva.
Poi c'è Jonathan Castroviejo, corridore competitivo su ogni terreno. E soprattutto c'è Samuel Sanchez, un campione olimpico che secondo un paio di appassionati lombardi sarebbe un papabile vincitore del Tour de France, almeno se assistito dagli attacchi a cazzo di cane di un collega lussemburghese.
La Euskaltel lascia spazio a Mikel, e lui ne approfitta alla Vuelta a Burgos. A Lagunas de Neila, Landa coglie la prima vittoria tra i professionisti, mettendo in fila Cobo Acebo e Purito Rodriguez. I due spagnoli concorderanno nell'analisi della corsa: "Come cazzo abbiamo fatto a perdere da questo coglione?".
La tappa di Lagunas de Neila lascerà un'impronta fondamentale nel prosieguo della stagione. Proprio da quella sconfitta, infatti, Cobo trarrà le motivazioni necessarie per allenarsi ancora più duramente e vincere la Vuelta.
Per Mikel, sembra l'alba di una stagione di successi. E invece a quella prima dimostrazione di talento seguono due anni e mezzo di anonimato. Mikel, però, è diventato un ragazzo forte, e con determinazione teutonica ruba i soldi del suo contratto fino all'ultimo giorno e fino all'ultimo centesimo.
E' chiaro a tutti, però, che c'è bisogno di cambiare aria. E così, nel 2014, Mikel approda nella squadra più indicata per rivitalizzare carriere arenate di atleti dal dubbio talento, magari anche con metodi non del tutto legali.
Ma no, idioti, non quella, quella kazaka.
I primi mesi sono comprensibilmente difficili, ma al Giro del Trentino il nome di Mikel torna nelle zone che contano della classifica. Nella quarta tappa, si impone sul Monte Bondone, in un'epica volata a due con Louis Meintjes, con Przemyslaw Niemec a completare il podio. Ed è proprio lì, sotto quel podio, che gli organizzatori decidono di limitare al massimo gli arrivi in salita negli anni seguenti.
Il 2014 è anche l'anno in cui Mikel debutta al Giro d'Italia, anche se svolgendo la seconda mansione più umile al mondo dopo quella di programmatore di Pcm: il gregario di Fabio Aru. "Visti i risultati di Fabio in carriera, era un po' come fare l'estetista di Alessandra De Stefano", ricorderà Landa ripensando a quella prima esperienza. Aru finisce terzo, vince una tappa, e con la consueta sagacia tattica si accorge solo all'ultima tappa di montagna che quel ragazzo basco avrebbe potuto dargli una mano in salita.
Chi vinse quel Giro? E' ovvio...
Prima di lasciarci alle spalle il 2014 e di giungere all'anno della svolta, è bene ricordare almeno un'altra giornata. Siamo ancora alla Vuelta a Burgos, e sempre sulla salita di Landa: Lagunas de Neila. Mikel, che al Giro si è tenuto alla larga dalla top ten come la Chiesa cattolica da un esattore delle tasse, sogna la doppietta, per lanciarsi verso una Vuelta da protagonista. Landa sale ancora sul podio, ma nel finale deve inchinarsi. E non c'è bisogno di specificare a chi.
Mikel rimugina su quella sconfitta per tutto l'inverno, e quando si ripresenta in gara, nel 2015, è un altro alteta. E' questa la stagione che consegna Landa al grande ciclismo. In aprile conquista finalmente un successo in casa, ad Aia, al Giro dei Paesi Baschi. Batte Tom Danielson e Tim Wellens, due avversari temibilissimi, almeno se il premio in palio fosse quello per la combattività al Tour de France.
Nello stesso mese, è secondo al Giro del Trentino: una gara che ha ormai eletto come sua corsa del cuore, approfittando del fatto che con le corse non si pone il problema del consenso. Alla fine è secondo dietro a Richie Porte, in una sfida titanica che Marca definirà "Il Thrilla in Manila di quelli che non hanno mai vinto un cazzo in un Grande Giro".
Ma ora ci siamo. E' il 9 maggio 2015, è il 98esimo Giro d'Italia, e questa introduzione riuscirebbe sicuramente meglio se potesse proseguire con un'indicazione di luogo un po' più solenne e altisonante di "San Lorenzo a Mare".
La corsa non inizia benissimo: all'Abetone, nella quinta tappa, Mikel si sacrifica ancora una volta per Aru e cede un minuto al suo capitano, a Contador e a Porte. Ma già a Campitello Matese, tre giorni più tardi, recupera parte del distacco, anche se Amets Txurruka si rivela un avversario imbattibile.
Mikel però è tranquillo, sa che le sue montagne devono ancora arrivare. E quando sente l'aria del Trentino, prende il volo. A Madonna di Campiglio, il 24 maggio, riesce a piegare addirittura Yuri Trofimov e a conquistare la prima vittoria in una corsa di cui abbia notizia anche qualcuno al di fuori della sua cerchia familiare.
Il suo capolavoro, però, lo firma due giorni più tardi. Si scalano cinque salite, e soprattutto il Passo del Mortirolo, uno dei totem del Giro. La svolta decisiva della giornata, però, arriva prima del previsto. Mancano ancora più di 60 km all'arrivo, circa 20 km a quei sampietrini che un ex direttore del Giro ha definito "La visione più erotica al mondo dopo quella del cadavere di uno sprinter".
Il gruppo sta scendendo dall'Aprica, dove è passato sotto il traguardo per la prima volta. Contador, saldamente in maglia rosa dopo la cronometro di Valdobbiadene, fora. La Astana se ne accorge e lancia un attacco che perfino Giorgio Chiellini definirà "scorretto e antisportivo". "Non hanno infranto la legge, ma mi sono comportati in modo moralmente esecrabile", aggiungerà l'avvocato Ghedini gemendo di piacere.
Ai piedi del Mortirolo, Contador è ancora indietro. La Astana sembra poter ribaltare il Giro, quando Aru incappa in un'improvvisa crisi. L'ammiraglia deve prendere una decisione: lasciare libero Landa o chiedergli di attendere Aru. "Decidemmo di tenere Mikel e Fabio assieme, almeno in primo tempo", ricorderà il direttore sportivo, Beppe Martinelli. "Poi Alberto rientrò, attaccò, e lasciammo via libera a Landa perché Aru non riusciva a seguirli. Non averlo lasciato andare prima è uno dei più grandi rimpianti della mia carriera, e vi ricordo che ho messo sotto contratto Cunego".
Già, Damiano. Un nome che non può essere passato per caso nella testa di Martinelli. Perché il dualismo interno nato tra Aru e Landa richiama alla mente quello che lo stesso Martinelli dovette gestire undici anni prima, in quel Giro 2004 che fece dire agli eredi di Armando Cougnet: "Se nostro nonno avesse previsto tutto questo, non avrebbe mai fondato il Giro".
Dopo la tappa dell'Aprica, restano ancora cinque giorni di gara. Ma a Verbania, dove il Giro arriva per la 18esima frazione, sembra tutto finito: Contador restituisce l'attacco a tradimento alla Astana, porta il vantaggio in classifica a 5 minuti e Alexander Vinokourov già prepara l'ordine per un nucleo di polonio con cui premiare i suoi corridori.
La corsa, però, ha in serbo un'ultima sorpresa: Contador va in crisi sul Colle delle Finestre, nella penultima tappa. Ma la lotta interna impedisce alla Astana di approfittare fino in fondo della situazione. Landa è il più forte e stacca tutti sul Colle delle Finestre, ma viene fermato in discesa per aiutare Aru. Il risultato è che il podio resta invariato: Contador vince, Aru è secondo, Landa terzo.
Martinelli è categorico: "Ditemi di riprovare a vincere un Giro con questi due e mi dimetto". L'amarezza è tale che il ds si lascia andare a uno sfogo: "Io ho avuto Pantani e Contador, adesso ho Aru e Landa. E' come se un allenatore che è stato al Milan e al Real Madrid finisse, chessò, all'Everton".
Il 2015 di Landa si chiude con la Vuelta a Espana. Il capitano designato dalla Astana è Fabio Aru, per quella che sembra dover essere una riedizione del dualismo del Giro. Ma Landa questa volta non ci sta, e mette subito in chiaro le gerarchie interne: nella nona tappa, quella che arriva a Cumbre del Sol, prende 14 minuti.
Mikel, però, ha mille risorse. L'undicesima tappa è la più dura della Vuelta. Sui sei colli da scalare nel principato di Andorra, Landa dimostra perché è stato soprannominato "l'antilope basca" da tutti quelli che credono che le antilopi siano animali di montagna. Anche se sarà un altro gesto, un altro momento di quella giornata, a meritarsi per sempre un posto nella storia dello sport.
Mikel gode di grande libertà di movimento. In classifica paga 26 minuti e 26 secondi: curiosamente, lo stesso tempo che Mattia De Sciglio impiega a leggere i movimenti degli avversari. Landa parte, se ne va, è lanciato verso un successo solitario che può ripagarlo finalmente di tante amarezze.
Ma poi succede l'imponderabile. Qualcosa che sembra sfidare le leggi della natura e della fisica, che infrange la logica, che sbriciola tutte le certezze faticosamente costruite in tanti anni. E' come se la gravità venisse sospesa, come se il dentifricio rientrasse nel tubetto, come se Dybala rimanesse in piedi dopo un contatto in area di rigore. Eppure è successo: Fabio Aru ha fatto il vuoto.
Quando Beppe Martinelli lo avvisa, Mikel pensa a uno scherzo o a un boicottaggio, ma è tutto vero. Martinelli gli chiede di fermarsi. Ed è allora che il ds acquisisce una di quelle nozioni che solo lo sport può fornire: come si dice in basco "manco per il cazzo".
Landa vince la tappa, ma da quel momento diventa un separato in casa. Aru alla fine vincerà quella Vuelta, mandando in crisi Tom Dumoulin nella penultima tappa. Landa si prepara invece a vestire la maglia del Team Sky: la squadra inglese lo ha ingaggiato a luglio, secondo la prassi di coprire di milioni tutti quelli che hanno una chance di infastidire Froome. E anche qualcuno che non ha chance, come Landa. E' un accordo storico, di cui si parlerà anche a distanza di anni: nel 2019, Vélo Magazine lo definirà "l'equivalente ciclistico della truffa alla nigeriana".
Per Mikel Landa è l'inizio di una nuova vita. Memore delle tensioni interne alla Astana, capisce che guadagnarsi le simpatie dei compagni è fondamentale: ecco perché, il primo giorno di ritiro, mette in chiaro che accetterà solo il ruolo di capitano unico al Tour de France.
L'effetto del dop… *colpi di tosse dalla regia, che ricorda a Buffa chi gli paga lo stipendio*... l'effetto dei geniali metodi di preparazione della Sky è immediato. Mikel vince in casa, al Giro dei Paesi Baschi. Batte addirittura Contador, che è così in forma che viene preceduto anche da Kelderman. Soprattutto, Landa corona finalmente il sogno di conquistare la classifica generale del Giro del Trentino. E' una vittoria che lascia il segno: per la vergogna, gli organizzatori decidono di cambiare il nome della manifestazione.
Nonostante Mikel sogni il Tour, la squadra decide di dirottarlo verso il Giro d'Italia. Una scelta perfettamente in linea con il mantra adottato dal team inglese quando si avvicina il Giro: "Non rischiamo, che qua controllano sul serio".
Il Giro di Landa comincia bene. Dopo la nona tappa, la cronometro del Chianti, è a poco più di un minuto dalla maglia rosa, con ancora tutte le tappe alpine a disposizione.
Poi, però, il destino decide, ancora una volta, che non è il momento di Mikel. E lo fa nel modo più beffardo: il giorno fatale è quello di riposo. Landa ha il cagotto, un cagotto violentissimo. E, chissà, potendo tornare indietro, forse non passerebbe più quel maledetto lunedì con Auro Bulbarelli.
Mikel è costretto al ritiro. Era a soli 25'' da Vincenzo Nibali, che alla fine conquisterà quel Giro. Ci riuscirà malgrado un primo weekend alpino che farà dire "Mai visto un ex vincitore rendersi così ridicolo in una tappa dolomitica" a tutti quelli che non hanno guardato il Giro tra il 2005 e il 2015. Tutto merito di un'epica rimonta nei due tapponi conclusivi, che suggerirà paragoni con alcuni grandissimi dello sport.
Mikel promette, ancora una volta, che tornerà più forte di prima. "Non sono così imbecille da bermi una promessa del genere", ribatterà uno che nel 2018 ha votato Forza Italia per la settima elezione consecutiva.
Landa si presenta al Tour de France con un ruolo di primo piano: portare le ciabatte in camera a Henao e Nieve. E' una delle corse più brutte della storia. Le montagne sono praticamente neutralizzate, non si registra nemmeno un vero attacco in salita, solo le cronometro fanno la differenza. Gli organizzatori sono sotto attacco. Alcuni tifosi minacciano di boicottare l'edizione successiva. Altri si spingono oltre e minacciano di dare fuoco alla carovana. Altri ancora si spingono ancora più oltre e minacciano di riportare alla direzione di corsa Jean-Marie Leblanc.
L'unico momento memorabile arriva nella tappa del Mont Ventoux, con traguardo abbassato allo Chalet Reynard a causa del vento.
Chris Froome è in maglia gialla, e sembra avviato a confermare senza difficoltà il suo primato, quando rimane coinvolto in un incidente con un mezzo per le riprese ed è costretto a percorrere un tratto di salita di corsa. Tutti hanno visto le immagini di Froome che sale a piedi, spingendo a mano la bici; non tutti sanno che perfino in quel tratto guadagnò su Landa.
A Parigi, comunque, il Team Sky può festeggiare. Froome sfila in maglia gialla sui Campi Elisi per la terza volta, e l'intera squadra apprende uno dei principi cardine del ciclismo moderno: vincere è molto più facile se il tuo capitano non è Landa.
Il 2016 di Mikel è quasi finito. Resta giusto il tempo di presentarsi al Giro di Lombardia, di ritirarsi per la quarta volta in sei partecipazioni e di esibire una pancetta tale da essere salutato con un "Salve, direttore" dai dipendenti di Rai Sport.
Nel 2017, Mikel sogna in grande: punta all'accoppiata Giro-Tour. Il direttore sportivo gli assicura che in Francia avrà ampia libertà. Landa è così entusiasta che non sente il resto della frase: "Quando sentirò un arbitro che grida ‘Juve merda'".
Mikel parte alla grande: alla Tirreno-Adriatico, solo 30 carneadi si frappongono fra lui e la gloria. Poi si presenta al Tour of the Alps. "Una corsa assolutamente nuova, che non ha nulla a che vedere con altre disputate negli anni scorsi", affermano gli organizzatori, raccogliendo il sostegno entusiastico di un opinionista Rai.
Mikel in quella corsa sarà quinto. "Non era facile fare meglio, con tutti questi fenomeni della montagna", dirà Landa, proprio mentre Foliforov veste la maglia di miglior scalatore. A fare più male è la sconfitta nella lotta interna con Geraint Thomas, vincitore finale e in ballottaggio con Mikel per il ruolo di capitano al Giro. "Dualismo con Geraint? Ma per favore, lui è un uomo da classiche, non vincerà mai un grande giro", minimizza Landa. Un'opinione condivisa anche da alcuni colleghi: "Vedo molto meglio Landa sulle tre settimane, non scherziamo. Mi possa centrare un camion domani se sbaglio", è il commento di Michele Scarponi.
Si arriva al Giro, dunque. Landa e Thomas sono in forma, la Sky è, per molti, la squadra da battere. Ma il sogno di Mikel si infrange a 14 km dall'arrivo della tappa del Blockhaus, la nona, proprio quella che avrebbe dovuto lanciarlo verso la maglia rosa: una moto abbatte l'intero Team Sky. "Pensavo fossero più pericolosi loro di Dumoulin", spiegherà il guidatore, Andrea D. L., cercando di nascondere la tessera del Fan Club Vincenzo Nibali Messina Centro.
Chi vince sul Blockhaus? Beh, è ovvio.
Mikel, però, dà prova di straordinaria resilienza: la dote più importante per un atleta, a detta delle cinque persone che conoscono il significato del termine.
Proprio grazie a quella caduta, non se lo caga più ness… può godere infatti di maggiore libertà di movimento e dare la caccia alla maglia di miglior scalatore. "Un riconoscimento di enorme prestigio, che solo uno specialista eccelso può conquistare", assicurano ex vincitori come Matteo Rabottini, Stefano Pirazzi, Matthew Lloyd, Fabian Wegmann, Inaki Gaston e Ueli Sutter.
Mikel cerchia in rosso sul calendario la data del 23 maggio. E' il giorno della tappa più attesa, della più suggestiva: 222 km da Rovetta a Bormio, con Mortirolo, Stelvio e Umbrail, cioè il terzo versante dello Stelvio. Una tappa forse perfino troppo impegn… *spingardino*... una tappa che dovrebbe essere inserita per regolamento in ogni edizione della corsa.
Proprio sul traguardo di Bormio, Mikel compie uno dei suoi capolavori: perdere uno sprint da Vincenzo Nibali, che non ne vinceva uno dai tempi delle volate al cassonetto contro Ivan Basso in maglia Liquigas.
Sembra impossibile fare meglio, ma nulla è precluso a chi ha fatto dire a Raymond Poulidor: "Ammazza che perdente". E così, a Ortisei, Mikel si supera: riesce a farsi da stampare da Tejay Van Garderen, l'uomo di cui L'Equipe scrisse che "sta alle volate come la Nutella al risotto".
Il giorno dopo però a Piancavallo arriva finalmente la rivincita. Mikel va in fuga, si sbarazza senza difficoltà dei compagni di viaggio e vince davanti a Rui Costa e Pierre Rolland.
Sei testate italiane e cinque testate straniere suggeriscono paralleli con il trionfo di Marco Pantani nel 1998, e tutte e undici vengono messe in mutande dalle cause per diffamazione intentate dalla famiglia del Pirata.
Nemmeno nel giorno del trionfo, però, Landa può godersi le luci della ribalta. Perché i titoli dei giornali, l'indomani, sono quasi tutti per la nuova maglia rosa.
Mikel inizia così a pensare al Tour. Ma prima di partire per la Francia, trova il tempo per cimentarsi nel campionato nazionale spagnolo a cronometro e per conquistare, incredibilmente, un posto sul podio. Vince Jonathan Castroviejo, che a fine gara dirà: "Ho sudato di più quella volta che ho battuto Stephen Hawking sui 100 metri". Il presidente del Cio, Thomas Bach, dirà invece: "Forse è ora di riconsiderare la nostra definizione di sport paralimpico".
Il percorso del Tour de France ha le caratteristiche tipiche delle Grande Boucle degli ultimi anni: poche salite, poca cronometro, molte tappe corte, arrivi in discesa. "Non ho mai visto figure teoricamente imparziali rendersi così ridicole per favorire gli atleti di casa", dirà su quel disegno l'ex arbitro Byron Moreno.
Nell'ottava tappa, quella che arriva alla Station des Rousses, il Tour di Landa arriva vicino a una svolta. La Sky lo manda in fuga, e a un certo punto Mikel è maglia gialla virtuale, con 3 minuti su Chris Froome. "Forse quel giorno potevamo veramente mettere Landa in condizione di vincere il Tour. Poi però abbiamo scelto la dignità", spiegherà Dave Brailsford.
Sui Pirenei, Landa si mette in evidenza nella tappa di Foix, quando va ancora in fuga assieme Barguil, a Contador e alla sua nemesi, Nairo Quintana. "Perché abbiamo permesso a Mikel di andarsene?", ricorderà ancora Brailsford, "C'era Aru in maglia gialla, perciò abbiamo pensato che valesse tutto".
L'azione dei quattro ha successo. E' una delle volate più lente di tutti i tempi. Secondo le moderne tabelle, le velocità espresse da Barguil, Contador e Quintana li fanno rientrare nella categoria "paracarri". La scienza ammette però di non avere ancora trovato una definizione esaustiva per Landa, che riesce a staccarsi e a chiudere con 2 secondi di ritardo.
Sulle Alpi, Landa risale fino al quarto posto in classifica generale. L'ultimo a cedergli il passo, sull'Izoard, è il suo ex compagno, Fabio Aru, con uno dei quei cali nelle ultime tappe più prevedibili di un rigorino quando la Juventus è bloccata sullo 0-0. In quella occasione, Froome prova anche a fargli vincere la tappa. "Rendetevi conto che sono solo un essere umano", ammetterà però il britannico dopo il sesto posto del compagno.
Mikel culla ancora un sogno: salire sul podio a Parigi. Per farlo, deve recupera un minuto e 13 secondi a Romain Bardet nella cronometro di Marsiglia. Pensateci: Bardet contro Landa in una cronometro. E' difficile trovare le parole per tratteggiare un duello del genere in circostanze del genere. Per fortuna, ci viene in soccorso la massima penna sportiva italiana del XX secolo, come si è definito da solo.
"Due giovin virgulti obbligati a misurarsi in singolar tenzone sul terreno più impervio, su quel palcoscenico che sempre aborrirono e che sempre negò il sorso della celestiale ambrosia della gloria. Sembra una scena del ‘Duello' di Tolstojev, o delle ‘Memorie di una geisha' di Ippolito Svevo, o di un western di Giorgio Leone. Landa e Bardet che si contendono il podio in una cronometro. Come assistere a una gara di tiri liberi tra Shaquille O'Neal e DeAndre Jordan, di calci di rigore tra Simone Zaza e Graziano Pellè, di proficuo utilizzo del pollice opponibile tra Capitan Uncino e Francesco Palma".
In quel soleggiato pomeriggio di luglio, il mare guarda incredulo mentre Landa recupera secondi su secondi. Dieci, venti… mezzo minuto… un minuto… mancano solo 13 secondi… cinque… dieci… dodici… stop. Il conto si ferma a 72: è quel 73esimo secondo che relega Mikel al quarto posto. E' quel secondo che porta Bardet sul podio, e che risparmia perlomeno al pubblico la nefandezza che Aso avrebbe partorito pur di farcelo salire l'anno dopo.
Non resta che Parigi. Una Parigi blindata, con i cecchini sui tetti dei palazzi e sull'Arco di Trionfo. Secondo la versione ufficiale, una misura antiterroristica. Secondo quella ufficiosa, un modo come un altro per far intendere a Landa che non sarebbe saggio tentare un'azione disperata per recuperare quel secondo.
Nonostante due grandi giri già nelle gambe, Mikel trova la forza di partecipare alla Vuelta a Burgos e di dominarla. Conquista due tappe e la classifica finale. "Ero terrorizzato: si arrivò a un passo dalla chiusura della corsa", riferì l'unica persona a cui fregherebbe qualcosa se chiudessero la Vuelta a Burgos.
Il 2017 si chiude con una trasferta in Italia nel finale di stagione. I risultati gli valgono un paragone con una delle più celebri cicliste del Benelux: "Mi rivedo in lui", ebbe a dire Puck Moonen, "ha un bel faccino, ma non va neanche a spingerlo".
L'inverno porta ancora grandi cambiamenti nella carriera di Landa. "Alla Sky c'erano troppi capitani. Io non sono abituato a seguire gli ordini, ma ad agire d'impulso. Nel 2015, se avessi potuto correre con la mia testa, avrei vinto il Giro, invece l'ho perso per seguire le indicazioni dell'ammiraglia: una cosa del genere non si ripeterà", spiega Landa. Ecco perché nessuno capisce che cazzo vada a fare alla Movistar.
Landa impiega poco tempo per conquistare la prima vittoria con la nuova maglia. Prende parte alla Tirreno-Adriatico e si impone sul Sassotetto. Dall'anno successivo, gli organizzatori elimineranno gli arrivi in salita.
Mikel decide quindi di imitare le donne musulmane che commettono adulterio: sperimenta le pietre. Partecipa all'E3 di Harelbeke, una corsa che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé per episodi come i palpeggiamenti di Sagan alle miss e per alcuni poster offensivi nei confronti del genere femminile, ma che, in tutta onestà, ha anche dei difetti. Landa chiude 86esimo. Johan Museeuw, un gigante del pavé, dirà: "Non vedevo qualcuno così fuori contesto in una competizione sportiva da quando la Ferrari mise Badoer al volante".
Il grande obiettivo del 2018 di Mikel è il Tour de France. Il problema è che anche l'obiettivo di tutti gli altri capitani della Movistar.
Unzue, in sede di presentazione è ottimista: "Siamo consapevoli della nostra forza. I nostri leader saranno Valverde, Quintana e Landa. Puntiamo cioè su corridori capaci di vincere grandi giri e grandi classiche, su corridori che hanno fatto la storia del ciclismo nel loro Paese, su corridori di talento, su corridori che sanno come si vince, e anche su Landa". A domanda esplicita, Unzue spiega che sarà la strada a decidere il capitano. Landa accoglie con sollievo la dichiarazione del ds, anche perché non sa che "la strada" è uno dei soprannomi di Valverde.
Le battute iniziali della corsa sembrano sorridere a Landa: nella prima tappa, Quintana cade e perde più di un minuto. Mikel si dichiara dispiaciuto per l'incidente del compagno, anche se la mattina successiva sarà molto evasivo sull'origine di quei calli alle mani.
Saranno le montagne, comunque, a chiarire le gerarchie. Il primo assaggio di salite vere arriva alla decima tappa, da Annecy a Le Grand Bornand. La corsa è così esaltante che alcuni telespettatori girano su un monologo di Mario Giordano. La fuga prende il largo, in gruppo l'agonismo si accende solo quando qualcuno prova a barare a briscola. Il Plateau des Glières viene affrontato ad andatura cicloturistica, l'accoppiata Romme-Colombière vede i migliori rimanere compatti e a Desio la polizia riceve molte chiamate che riferiscono di un uomo con gli occhiali da sole che si aggira urlando per le strade con uno spingardino in braccio.
Nella tappa successiva, quella della Rosière, accade però l'impensabile. "Non credevo ai miei occhi", ricorderà Andrea Bocelli. La Movistar mette da parte il tradizionale attendismo, prende in mano la corsa e mette in mostra tutta la potenza dei suoi effettivi, costringendo Luke Rowe a perdere le ruote del gruppo. E sono innumerevoli le mandibole che accarezzano il pavimento quando Alejandro Valverde scatta a 55 km dal traguardo. "Era un'eventualità che avevamo considerato per una puntata speciale, ma l'avevamo scartata perché troppo inverosimile", commenterà Roberto Giacobbo.
Valverde ha con sé Marc Soler, e riesce a guadagnare fino a 2 minuti sul gruppo dei migliori, ma il Team Sky, aiutato dagli uomini di Roglic e Nibali, neutralizza infine l'attacco. La salita finale è una carneficina. La Sky sorride, e non solo ripensando alla sagacia tattica della Movistar: Geraint Thomas vince e conquista la maglia gialla, con 1'25'' su Froome.
Per la Movistar è una disfatta. I tentativi di Quintana di replicare agli attacchi del Team Sky sono meno esplosivi del tuffo di Buffon sul tiro di Casemiro a Cardiff: il colombiano perde un minuto. Eppure, sarà il migliore dei suoi, o - come lo definirà Unzue - "il meno coglione". Landa chiude a un minuto e 47 secondi. Valverde ammetterà subito dopo l'arrivo, cioè in tarda serata: "Forse, tra tutte le tappe che potevo scegliere per attaccare da lontano per una volta nella vita, quella che arrivava su una Montevergine glorificata non era la migliore".
I rapporti di forza tra gli uomini Movistar si invertono l'indomani, nella tappa regina del Tour. Il corridore più brillante, quel giorno, sembra essere Vincenzo Nibali, che viene però abbattuto dalla cinghia di una macchina fotografica acquistata qualche giorno prima in un negozio di Pioltello. Landa arriva a giocarsi la tappa nello sprint finale contro Froome, Bardet, Dumoulin e Thomas, che alla fine si impone per il secondo giorno consecutivo. "Non posso credere che in quella volata sia arrivato quinto su cinque", nessuno ha mai detto su quell'arrivo. Secondo Cyclingnews, "la presenza di Landa nel gruppetto dei cinque rappresenta il più grande rischio mai corso dal prestigio della salita da quando Frank Schleck scongiurò l'Apocalisse".
Dopo le Alpi, Mikel pensa ai Pirenei. La tappa di Bagnères-de-Luchon, la prima delle tre, è poco più di un riscaldamento. La seconda inaugura invece una delle salite più dure di Francia, la cui presenza in un Tour è parsa a lungo un sogno destinato a restare tale: il Col du Portet. Il tracciato della tappa, lungo appena 65 km, lascia però perplesso più di un appassionato. Per citare l'ex direttore Jean-Marie Leblanc: "Inaugurare una salita come il Portet e affidare il disegno a Prudhomme è come comprarsi un'isola nei Caraibi e decidere di andarci in elicottero con Kobe Bryant".
La corsa esplode sul Col de Val Louron-Azet. Landa è in forma, riesce a tenere la ruota di Chris Froome. Ma ancora una volta, quando lui fa bene, qualcuno altro fa meglio. Chi? Sempre il solito...
Landa ci crede ancora. A sua disposizione c'è ancora una tappa: la diciannovesima, da Lourdes a Laruns. "Una frazione progettata in modo impeccabile", secondo l'architetto Morandi.
Mikel, staccato in classifica di quattro minuto e mezzo, sa di non poter attendere l'ultima salita. Sul Tourmalet, quando mancano più di 100 km all'arrivo, parte. La maglia gialla virtuale è sempre più vicina. Geraint Thomas ricorderà: "Se ho avuto paura? In effetti in quel gruppo c'era Zakarin, che aveva solo 11 minuti".
Il Team Sky, alla fine, è ancora una volta troppo forte. La tappa va a Roglic, e a Landa resta solo la soddisfazione di avere scavalcato Quintana in classifica generale. A Parigi, Mikel sarà settimo. E sette sono anche le corse che disputa in un finale di stagione all'insegna della costanza: non ne porta a termine neanche una. Negli stessi giorni, però, arriva anche l'ultima grande gioia del 2018: dopo la tripletta Giro dell'Emilia-Memorial Pantani-Trofeo Matteotti, Tripadvisor consegna a Landa il bollino come miglior recensore delle trattorie della zona Bologna-Cesenatico.
Per l'ennesima volta, quello che attende Mikel Landa è un inverno di riflessioni. Il 2019 è l'ultimo anno di contratto con la Movistar. Il problema della coesistenza con Valverde e Quintana non è ancora risolto.
Ancora una volta, Mikel trova in Italia le prime soddisfazioni della stagione. Conquista la tappa di Sogliano al Rubicone della Settimana Internazionale Coppi e Bartali. "Intendevamo Serse Coppi e Giulio Bartali", precisano gli organizzatori.
Al Giro, Landa è il capitano unico. Lo diventa dopo che, in allenamento, Valverde è stato investito da una macchina nera. "Blu scuro", puntualizzerà Landa.
Tra Bologna e San Marino, nelle terre tanto amate da lui e tanto detestate dal suo dietologo, Mikel si rende autore di due cronometro maiuscole: alla fine della prima settimana, è a cinque minuti da Roglic.
Landa, in ogni caso, sa che il suo terreno deve ancora arrivare. Si muove già nella tappa di Pinerolo, e a Ceresole Reale, primo arrivo in quota alpino, chiude terzo dopo una grande scalata finale. "Se sarebbe partito prima, potesse vincere", commenteranno all'unisono Luigi Di Maio e Gigi Sgarbozza, ospiti della carovana. "Non è arrivato primo neanche tra quelli col suo nome di battesimo", lo deriderà invece Nieve, secondo al traguardo.
Mikel è ottavo in classifica, ma le distanze si sono ridotte: Roglic, sempre il migliore tra gli uomini di classifica, è distante meno di tre minuti. Ma ancora una volta, quando tutto sembra finalmente volgere al meglio, contro Landa si schiera il destino. E quando diciamo "il destino", intendiamo un corridore più forte di lui.
Il Giro si decide, di fatto, nel tappone valdostano di Courmayeur. Richard Carapaz, compagno di squadra di Landa in Movistar, fa il vuoto sul Colle di San Carlo. Nibali e Roglic, i grandi favoriti, si marcano a vicenda: una mossa che appare suicida a tutti quelli che non sono pagati dalla Rai per fare le telecronache. Nemmeno Landa può muoversi, per ovvie logiche di scuderia. Sul traguardo, Carapaz alza le braccia e può festeggiare la maglia rosa.
Nell'ultima settimana, è chiaro a tutti come Landa e Carapaz siano i due uomini più forti in salita. Ma Mikel non può muoversi. Ancora una volta, è condannato al ruolo di scudiero di lusso. E non lo aiuta il disegno anticlimatico del finale di Giro. "Un'ultima settimana dalla sceneggiatura fin troppo prevedibile", dirà Gabriele Muccino.
Soltanto nell'ultima frazione dolomitica, quella del Monte Avena, Mikel trova spazio. Parte allora in caccia di due obiettivi di consolazione: il successo di tappa e il podio.
Quanto al primo, a negarglielo è Pello Bilbao. Lo scalatore della Astana aggiunge il suo nome all'elenco di coloro che hanno stampato Landa in volata, una lista ormai lunga come quella dei debiti di Paperino.
Quanto al secondo, Mikel riesce a scavalcare temporaneamente Roglic. Senza guadagnare abbastanza, però, da mettersi al riparo dal contrattacco dello sloveno l'indomani, nella cronometro conclusiva di Verona. Mikel offre una prova contro il tempo che avrebbe inorgoglito José Rujano. Alla fine, sarà soltanto quarto.
Ancora una volta, dopo il Giro, Mikel si ripresenta ai nastri di partenza del Tour. "E' un corridore infaticabile, una sorta di Javier Zanetti del pedale", scriverà Marca, prima di essere costretta a pubblicare una lettera di scuse dal legale di Zanetti.
E' un Tour in cui la Movistar lascerà un segno profondissimo. "Mai viste tante idiozie strategiche in una sola corsa, e vi ricordo che abbiamo letto le tattiche con cui i ds decisero di portare in carrozza Wiggins in maglia gialla per mezzo arco alpino", si legge in una nota della direzione di eseifrancesi.
Dopo prove convincenti sui Pirenei, Landa è settimo in classifica, a poco meno di cinque minuti dalla vetta, due dei quali persi per una caduta. Un incidente causato da un corridore francese, almeno a giudicare dal fatto che le immagini televisive sono sparite. Sulle Alpi, la Movistar promette battaglia. Invece, metterà in scena una commedia.
Nel tappone di Valloire, Quintana va in fuga e veste la maglia gialla virtuale. E' allora che la Movistar si schiera in forze al comando del gruppo. Sembra la svolta che Landa attendeva da anni: la squadra che si compatta intorno a lui, che declassa il colombiano al ruolo di luogotenente e lo sacrifica come testa di ponte per una grande offensiva del basco.
Ma l'attacco di Landa si rivela come la grande rivoluzione liberale di Berlusconi: non arriva mai. Mikel taglia il traguardo nel gruppo dei migliori, a più di cinque minuti dal vincitore. Un vincitore che risponde, ancora una volta, al nome di Nairo Quintana, nonostante la strenua opposizione dei suoi compagni di squadra. "Ci ho provato", ammetterà il parroco di Landa dopo un confronto con le testimonianze dei bambini del catechismo.
L'indomani, Egan Bernal conquista definitivamente la maglia gialla, in una giornata condizionata dal maltempo. Così come sarà condizionata la ventesima e penultima tappa, quella di Val Thorens. La vince Nibali, che negli ultimi 5 km resiste con appena una manciata di secondi di vantaggio, anche perché ogni corridore della Movistar fa il cazzo che gli pare. "Avrei potuto vincere la tappa in ciabatte", sarà l'amara riflessione attribuita a Valverde dai giornali spagnoli. Almeno dopo avere censurato espressioni come "coglione basco" e "nano del cazzo" - anche se alcuni presenti riferiscono che la seconda era stata pronunciata in risposta a una domanda sulla politica italiana.
Da professionista esemplare quale è, Landa non conclude la stagione dopo il Tour. Si presenta al via in cinque corse italiane di fine anno e, con la consueta regolarità, non ne finisce nessuna. "Le mensilità che Landa percepisce tra agosto e dicembre sono lo stipendio più immeritato del mondo", commentò uno che non sapeva che Salvini è stato europarlamentare fino al 2018.
Ed eccoci a oggi, allora. Il 2020 di Landa si apre con una nuova sfida. La Bahrain-Merida: una squadra che ha rinunciato a Vincenzo Nibali per ingaggiare Mark Cavendish e il basco. "Un'operazione eccellente", secondo l'ex dirigente dell'Inter che concluse gli scambi Pirlo-Guglielminpietro, Seedorf-Helveg e Cannavaro-Carini.
Le prime uscite sono confortanti. Mikel è subito protagonista in salita in Andalucia, dove coglie un secondo e un terzo posto. Uno studio dell'università di Oxford è categorico: "Secondo il nostro modello, il 2020 sarà l'anno di Landa: solo una pandemia planetaria potrebbe impedirgli di vincere un grande giro".
Non sappiamo cosa ci sarà nel futuro di questo giovane basco, ora che il ciclismo è sospeso. Sappiamo, però, che cosa la sua parabola ci ha insegnato: nessuno ha contribuito quanto Mikel Landa a farci riscoprire l'importanza del piazzamento. Landa ci ricorda ogni giorno che è possibile far parlare di sé senza avere compiuto nulla di rilevante. L'importanza della mediocrità. Il superfluo come valore della vita.
Per modo di correre, risultati e affinità in gruppo, molti fan di Landa hanno rivisto nel basco il nuovo Andy Schleck. Quegli appassionati, però, sono rimasti delusi il 13 luglio 2017, quando il basco ha dimostrato di poter scalare il Port de Balès senza fare stronzate col cambio.
Curiosamente le 15 vittorie in carriera di Mikel Landa sono state ottenute in due soli paesi: 8 in Italia e 7 in Spagna, i due paesi a cui lui è più legato. Il 13 maggio 2019, Andrea Agnelli ha consegnato a Landa la tessera di socio onorario della Juventus.
Nel 2017, come abbiamo ricordato, Mikel Landa disputò a Marsiglia la migliore cronometro della sua carriera. Concluse ad appena 57'' dal vincitore e concesse solo 3'' a Primosz Roglic. Chris Froome ancora non sa chi si sia scolato la sua borraccia quel giorno.
In occasione della grande partenza di Bologna, molti tifosi si sono presentati con lo striscione "#FreeLanda" in sostegno del basco. La prova che la cosa più stupida che si possa fare in Italia in questo momento, nonostante tutto, non è dare il proprio voto a Matteo Salvini.
All'inizio di febbraio di quest'anno, negli stessi giorni di questa registrazione, Mikel Landa è stato investito da un'auto durante un allenamento. Poche ore dopo, le tante persone che si erano preoccupate dopo l'incidente hanno potuto tirare un sospiro di sollievo: l'auto era intatta.
CREDITS: Alexis Hemme Méas, Mathieu La Sègue
Direttore di corsa.